Quarta maglia 20/21

Classicità e innovazione si uniscono nella quarta maglia di questa strana stagione 2020/21. Il disegno richiama chiaramente la Meyba dei primi anni '90 nella parte superiore mentre in quella inferiore c'è il richiamo ai colori della Catalogna, elemento sempre più presente nelle ultime stagioni.

Italia più blaugrana con Radio Barça

Da ormai molti mesi esiste un programma radiofonico che sta colorando di blaugrana tutta la penisola italiana: è Radio Barça Italia di Radio Roma Futura. Meravigliosamente condotto da Maxi Morgante il programma si può ascoltare via telefono, pc o tablet basta avere un collegamento a internet. Per info: https://www.spreaker.com/show/radio-barca-italia

Pin penya 2020/21

Finalmente è arrivato! A grande richiesta la P.B. de Turin ha realizzato la sua prima spilla ufficiale e quest'anno sarà in omaggio per tutti i soci che rinnoveranno la loro iscrizione o che la faranno per la prima volta.

Per info scrivere a vpegone@gmail.com

 

                                               Chi siamo

La Penya Barcelonista de Turin (Barça Club Torino) nasce nel maggio del 2010 per iniziativa di Vittorio, fondatore e tuttora presidente, e grazie all'aiuto di altri 4 membri fondatori: Fabrizio, Roberta, Paolo e Sonia. Nell'ottobre del 2010 il club è ufficialmente riconosciuto dal F.C. Barcelona e da allora parecchie iniziative sono state organizzate: trasferte nelle città dove gioca il Barcellona ma anche tante serate per stare insieme e che hanno come comun denominatore la nostra passione per il Barça!

 

La nostra penya è iscritta al registro delle associazioni di Torino e come associazione non ha scopo di lucro e deve considerarsi a fini fiscali ente non commerciale.

 

Scopo dell’associazione è promuovere l’amicizia tra i soci ed i simpatizzanti del FC BARCELONA, sostenendo gli obbiettivi sportivi, sociali, culturali, artistici, scientifici e ricreativi sostenuti dalla società sportiva stessa e trasmettendo i valori storici del FC BARCELONA.

                               La Stampa 8 dicembre 2020

                                 E' passato tanto tempo...

Prima, storica formazione del Barça

8 dicembre 1899. Sono passati 121 anni da quel giorno d'autunno di tanti anni fa in cui per la prima volta il F.C. Barcelona scese in campo per giocare una partita di calcio: quel giorno il terreno di gioco era quello del velodromo della Bonanova e l'avversario una squadra di inglesi residenti in città. Come prevedibile gli inglesi si rivelarono più adusi al gioco del pallone e si imposero per 1 a 0 davanti a un pubblico molto poco "numeroso" e sotto la guida dell'arbitro inglese Leack. La formazione blaugrana di quella primissima gara fu: Urruela, Mir, Wild, Lomba, Ossó, Llobet, López, Terradas, Gamper, Kunzle e Schilling. Il 24 di quello stesso mese il Barça giocò una seconda partita, questa volta contro il Català mentre il 26 ci fu una "rivincita" contro la squadra inglese già affrontata ad inizio mese: i risultati furono rispettivamente di 3 a 1 e 2 a 1 e il capitano della squadra Joan Gamper realizzò ben quattro delle cinque reti totali messe a segno. Quattro giorni dopo la prima, storica partita una riunione del Club aveva scelto quelli che sarebbero stati per sempre i colori del Barça: fu Joan Gamper a proporre quei colori che vennero accettati all'unanimità e disegnati con una banale matita bicolore blu e granata.

I palloni che venivano usati in quelle prime, pionieristiche, partite venivano importate dall'Inghilterra grazie all'operato dei fratelli Witty che, lavorando, al porto avevano agganci e conoscenze necessarie; le reti delle porte le donò al Club il giocatore Parsons mentre Otto Maier fornì una cassetta di primo soccorso contro eventuali infortuni di gioco. Infine il costo per le nuove maglie blaugrana venne sostenuto dal presidente in carica Bartomeu Terrades.

 

Campo della Bonanova. Immagine da camposmiticos.org

Lingua: spagnolo.

Raramente nell'intera storia del barcelonismo un giocatore ha suscitato tanto amore e tanto odio come Bernd Schuster, da molti blaugrana considerato il primo grande traditore dei nostri colori lungo una traiettoria storica di ben 121 anni. Giusto quindi sottolineare l'importanza di questo bel libro scritto da Javier Ares sulla vita personale e pedatoria di Bernd Schuster, un libro che è un racconto d'amore di una intera vita dedicata al calcio ed alle donne. Parte centrale dell'opera, come sempre in questi casi, sono le confessioni di Schuster su sè stesso, confessioni che iniziano dal Bernd bambino portato da suo nonno sulla strada dell'amore per il calcio e che arrivano al giovane uomo che, a 20 anni, lascia Colonia per trasferirsi a giocare al Barça: viaggia in automobile verso la capitale catalana col precisono fine di diventare uno dei grandi giocatori della sua epoca. 

A conti fatti Schuster, soprattutto, all'inizio mantiene le attese del pubblico nei suoi confronti mostrando il suo incredibile talento anche grazie a fenomeni come Maradona e si ripete anche nelle sue parentesi al Real Madrid e all'Atletico di Madrid. Bellissime le pagine in cui viene descritta la rinuncia del giocatore alla nazionale tedesca, il suo carattere indomabile, il suo amore per Gaby ed Elena, le donne della sua vita, i suoi sei figli e sua madre, emigrata dall'est per trovare all'ovest una vita migliore.

 

Javier Ares, Bernd Schuster,ed. Corner, 320 pag., 2018.

                 Prostitute e marinai: la storia del calcio a Sankt Pauli

Stemma del FC Sankt Pauli

Esiste un posto speciale, un quartiere particolarissimo in un contesto, una città, già di per sè non banale come Amburgo, città importante del nord della Germania famosa per il suo porto, i suoi commerci, il bellissimo municipio e il panino (l'Hamburger) che nato qui ha conquistato il mondo intero.

Ad Amburgo, da più di un secolo, si gioca anche a calcio e le massime rappresentanti del calcio amburghese sono il blasonato Hamburger SV e il più piccolo F.C. Sankt Pauli, squadra che vive (come alcune altre in tutta Europa) grazie al sostegno dei propri soci/proprietari. Tra queste due compagini non potrebbero esserci più differenze: l'Amburgo, malgrado le difficoltà degli ultimi tempi, fa parte della crema del calcio teutonico; il Sankt Pauli invece è la classica piccola realtà locale che, solo con molto sforzo e molti sacrifici, può entrare a far parte della Bundes Liga, massima serie del calcio in Germania.

Malgrado questa premessa non certo ottimale la società del quartiere di Amburgo nelle ultime stagioni è diventata una realtà "kult" a livello mondiale, vuoi per il già summenzionato meccanismo dei soci, vuoi perchè da quelle parti essere del Sankt Pauli vuol dire essere di sinistra e viceversa, e comuque perchè malgrado gli scarni risultati ogni domenica (o sabato) al Millerntor Stadion ci sono 30mila persone a incitare i giocatori in maglia biancomarrone. Merito del modello tedesco – la Bundes ha un indice di riempimento superiore al 92%, contro il 55% italiano – ma anche dei milioni di persone rapite dal mito Sankt Pauli. All’ingresso in campo dei giocatori, salutato dalle note di “Hells Bells” degli AC/DC, sugli spalti si mescolano striscioni bianco-marroni a vessilli con il Jolly Roger (bandiera simbolo di ribellione e tipica della tifoseria amburghese), ma non di rado si vedono anche le bandiere iridate della pace. L’impegno politico dei sostenitori, dichiaratamente antifascisti, pacifisti, pro Lgbt (sono la prima squadra di calcio tedesca ad aver avuto un presidente dichiaratamente omosessuale) e contro il sistema, ha origine negli anni ’80, quando ad Amburgo si scatenano grandi lotte operaie.

Qui infatti nasce il mito di un quartiere storico, ma non per questo poco "vivo" e capace di schierarsi contro la decisione del governo tedesco di riqualificare il quartiere svuotando le case popolari (un tempo abitate dai marinai) per darle alla borghesia.

 

Le proteste dei lavoratori trovano valvole di sfogo e di aggregazione importanti nei pub, nei centri sociali e, ovviamente, nello stadio. Il Sankt Pauli, povero e poco vincente in confronto ai cugini borghesi dell’Hamburger Sport-Verein, semplicemente Amburgo Sv, vincitori tra l’altro di una Champions League (ai danni della Juventus), si consacra come squadra del popolo. E dopo la vittoria della classe operaia, che costringe i capitalisti a rivedere i progetti immobiliari, tutta Europa guarda a quel quartiere un tempo di marinai, prostitute e criminali come a un esempio di lotta al sistema. Queste poche righe bastano già a far capire che il Sank Pauli non è uno "Spezia di Germania" ma è una realtà con storia e valori ben solidi, non legata alle vittorie ma ad uno stile di vita; è la squadra dei semplici, dei portuali, delle signorine che lavorano nei club a luci rosse...

Il Millerntor, stadio del Sankt Pauli

All’inizio degli anni 2000 il Sankt Pauli è in terza serie e le finanze del club sono tutt’altro che buone: a farla breve, il fallimento è dietro l’angolo. In questa situazione di emergenza viene esaltato lo spirito associativo dei tifosi, che di fatto detengono il 51 per cento del club, i quali mettono in atto una vera e propria campagna di refunding (Retteraktion). Si pubblicizza il merchandising ufficiale, si mette una sorta di “tassa” sulle birre e su tutte le attività commerciali del quartiere, fino a raccogliere qualche milione di euro necessario a risanare i debiti del club e a far iscrivere la squadra al campionato.

Un altro caso che mostra il peso dei tifosi nelle decisioni della squadra risale al 2010, quando la squadra torna finalmente in Bundesliga. La società decide di inspessire le reti dietro alle porte e di pitturare altri sponsor a bordocampo, quasi un affronto per uno dei pochi team ad avere ancora i cartelloni fissi con le pubblicità, anni ’80, invece che quelli elettronici. Per altro, al Millerntor, a un quarto d’ora dall’inizio della partita cessano gli annunci pubblicitari anche con l’altoparlante, per concentrarsi esclusivamente sul tifo e sul calcio giocato. Inutile dire che l’iniziativa delle reti spesse non ha lunga vita, al pari di un’altra: quella di costruire in tribuna vip dei palchetti per lap dance, con annesso striptease della ragazza di turno per festeggiare il gol. Una pratica sessista che non passa inosservata alla tifoseria, sempre attiva nella tutela dei diritti: dopo qualche partita, via i palchi e via le ragazze da uno dei pochi stadi in Germania che non è ancora stato venduto a un brand.
Una pratica troppo commerciale per il fanladen: meglio avere meno soldi ma un’identità solida.

Spettacolare sbandierata dei tifosi bianco-marroni

Secondo alcuni, persino una identità apparentemente inscalfibile come quella del Sank Pauli, oggi è diventata troppo di massa, quasi commerciale soprattuto se paragonata alla atmosfera più verace che si respirava allo stadio anseatico negli anni '80 e '90; resta il fatto che a volte, al di là dei buoni principi e dei bei propositi, alcune date servono a fissare il nome del Sank Pauli nel calcio che conta, come nella Coppa di Germania 2005/6, quando da squadra di terza serie il Sankt Pauli cavalca fino alla semifinale, battendo nei quarti del Millerntor, il Werder Brema 3-1. Vittoria tanto clamorosa quanto importante per il bilancio, con il milione di introiti che permette di sistemare i conti. Ma la data che ogni tifoso del Jolly Roger non dimenticherà mai è però il 16 febbraio 2011. Un gol di Gerald Asamoah, attaccante ghanese naturalizzato tedesco, consente al Sankt Pauli di espugnare il Volksparkstadion per la seconda volta nella storia. Non uno stadio qualunque, ma quello degli odiati, vincenti, borghesi cugini dell’Amburgo Sv. E pazienza se dopo quella vittoria arriva solo un punto in undici gare, con conseguente retrocessione in Zweite liga: lo scalpo dell’Amburgo bene è qualcosa da mostrare ai nipoti. Quella sarà di fatto anche l’ultima stagione delle maglie bianco-marroni in prima serie.

 

Dunque gli ideali possono passare, o non essere più forti come un tempo... ma il Sankt Pauli rimane comunque un "unicum" nel suo genere grazie al suo stadio (dove si possono prenotare anche posti in piedi  con spazi dedicati alle famiglie e ai loro bambini), un vero e proprio tempio in cui sport e impegno sociale vanno di pari passo e che lo rendono l'anima del quartiere. Dove un tempo c’erano marinai, prostitute e criminali, oggi sono bannati fascisti, omofobi e razzisti. Se invece pensate che il calcio sia solo un gioco, lasciate perdere il Sankt Pauli. Qui si fa la storia.

                        Libro della settimana: "La squadra spezzata"

Lingua: italiano.

Il libro di questa settimana non riguarda il Barça ma ci piace prenderlo in considerazione perchè si inserisce nel filone dei racconti che parlano non solo di calcio, bensì di "storie di calcio": oltre ad un pallone che rotola su un prato il football è, molto più spesso di quanto pensiamo, una storia dentro la storia. E così è per questa bella opera di Luigi Bolognini, capace di raccontare al lettore di quella sottile linea rossa che lega l'Aranycsapat (squadra d'oro), la Nazionale ungherese di Puskás e Hidegkuti, con la rivoluzione del 1956, repressa dall'Unione Sovietica con i carri armati. Quella squadra, come la Honvéd, il club di Budapest in cui militano Puskàs e Bozsik, è l'ambasciatrice del Paese nel mondo, macina gol e spettacolo e viene acclamata ovunque. E regala bellezza e gioia agli ungheresi, oppressi da un regime grigio e sanguinano, gli dà la speranza di un futuro diverso. Il giovanissimo Gábor, fanatico di Puskás, vive i trionfi alle Olimpiadi e contro l'Inghilterra come il segno che il comunismo, di cui è un convinto seguace, sia destinato a vincere. Ma la sconfitta nella finale della Coppa Rimet del 1954 (l'unica partita persa dall'Aranycsapat su 50 tra il 1950 e il 1956) manda in frantumi i suoi sogni e quelli di un intero Paese: sparite le speranze, resta solo una realtà fatta di miseria. La delusione serve a farlo riflettere e mettere in dubbio tutto quello in cui credeva. E quando, il 23 ottobre 1956, scoppia la sommossa contro la dittatura comunista, il sedicenne Gábor perde ogni punto di riferimento: approva la rivolta, ma si sente sempre socialista. E lotta per creare un socialismo nuovo, democratico e liberale. Fino a quando i carri armati sovietici invadono Budapest e soffocano nel sangue la rivoluzione.

 

 

Luigi Bolognini, Lasquadra spezzata, edizioni Lìmina, 149 pag., 2007.

                      Moritz, il gusto "amaro" della vittoria

L'amore dei barcellonesi per la birra nacque durante l'occupazione napoleonica della Catalogna. Fu quindi l'inizio del XIX secolo che vide la nascita delle prime fabbriche di birra artigianale, realtà di piccole dimensioni, più negozi che stabilimenti veri e propri capaci però di vendere birra all'ingrosso e al dettaglio. Nacque così un commercio che, soprattutto nei primi anni, fu monopolizzato da imprenditori stranieri. Tra questi pionieri siamo qui a ricordare Louis Moritz, giunto nel 1851 a Barcellona proveniente dalla località alsaziana di Pfaffenhoffen; cinque anni dopo il suo arrivo fondò una piccola industria al civico 6 del carrer Cirés, via ormai scomparsa che rientrava nel dinamico quartiere del Raval, e al di fuori del locale era normale che si formassero lunghe code di avventori pronti ad aspettare il proprio turno per qualche tempo pur di assaporare una buona birra.

Barcellona ha una lunga storia  ed un certo prestigio legato alla birra: Moritz e Estrella Damm sono i marchi storici della capitale catalana

Nel 1864 l'impreditore Moritz decise di spostare la sua attività in una vera e propria fabbrica, situata al numero 81 della Ronda Sant Antoni all'angolo con il carrer Casanova. Con questa iniziativa Moritz trasformò la sua birra in una delle più prestigiose dell'epoca: trent'anni dopo (1897) a fianco alla fabbrica Moritz venne inaugurata una omonima birreria, la Cerveseria Moritz, conosciuta in città come Can Moritz. Il nuovo locale divenne presto un punto di riferimento non solo per gli amanti della birra ma per tutta la società barcellonese tra fine XIX e inizio XX secolo, al punto che i locali della birreria ospitarono la sede del Barça tra il 1910 e il 1914.

A Can Moritz si riunivano i giocatori dopo le gare interne del F.C. Barcelona e vi si tenevano inoltre vari eventi istituzionali del Club, come per esempio l'assemblea che portò all'elezione di Joan Gamper come presidente nel 1910, la cena dopo la vittoria per 5 a 3 contro la Gimnastica Espanyola de Madrid nel gennaio di quello stesso anno o ancora il meeting che seguì la conquista del campionato catalano del 1911.

Dopo questo periodo di fulgore l'impresa andò incontro ad una lunga fase di decadenza che la portò a chiudere i battenti nel 1978; nel 2004 però i successori di Louis Moritz decisero di rimettere in piedi il business della "cerveza" rilanciando lo storico marchio e ritornando in possesso dello spazio che già a fine '900 ospitava la fabbrica Moritz.

Anche in tempi recenti la birra Moritz ha continuato a curare il suo legame con il Barça: nel 2010 la marca catalana lanciò sul mercato un nuovo prodotto, ovvero la birra 5,0, nome che si riferiva sia alla gradazione alcolica della bevanda, sia alla goleada rifilata dai blaugrana alle merengues nel Barça-madrid giocato il 30 novembre del 2010. Sull'etichetta della birra spiccava il risultato della partita in numeri blu e granata (molto grandi) appoggiati ad uno sfondo giallo che da sempre rappresenta il colore ufficiale della azienda Moritz.

                                   Sottocultura Casual

Pubblichiamo di seguito un interessante articolo dedicato da wikipedia alla sottocultura casual. Negli ultimi lustri la cultura casual si è diffusa dal Regno Unito, realtaà in cui era nata più di quaranta anni fa, a molti paesi d'Europa compresi Spagna e, cosa ancora più incredibile, in Italia, nazione con una tradizione legata al tifo calcistico, radicalmente opposta. Le ragioni di questa metamorfosi sono numerose e non certo esauribili in un breve articolo come questo. E' comunque bene esaminare al fondo le trasformazioni degli ultimi anni per capire meglio l'attuale mondo del tifo.

 

Il casual è un movimento subculturale nato all'inizio degli anni '80 nel Regno Unito.

La genesi del movimento va ricercata nelle terrace/side, ovvero le gradinate degli stadi inglese, frequentate da gruppi di ragazzi facinorosi che cercavano il contatto con gli avversari e con la polizia: questi gruppi erano formati in prevalenza da skinhead e hard mod. A causa dell'appariscenza del vestiario skinhead però, questi gruppi venivano sempre più facilmente localizzati dalla polizia e quindi repressi. Nacque così l'esigenza di adottare un look che avesse un basso profilo e non presentasse nessun riferimento alla propria squadra, in modo da facilitare il tentativo di non esser notati nella folla dei tifosi pacifici e differenziarsi dagli hooligans.

Corteo Casuals del F.C. Barcelona ad inizio anni '90

Il movimento, secondo la maggioranza degli osservatori, prese il via nel nord dellInghilterra e precisamente a Liverpool (ma non solo, si veda ad esempio i Perry boys di Manchester e gli Aberdeen Soccer Casuals appunto nella città di Aberdeen).

La prova più evidente consta nella grande influenza che gli scouser (il soprannome dato agli abitanti di Liverpool) ebbero nel look dei primi casual: Fila, Sergio tacchini, Ellesse, Lacoste, tutte marche che i tifosi del Liverpool portarono in patria dalle loro frequenti trasferte in Italia e , alla tanto odiata, Francia.

Adidas city series

  Intanto il fenomeno casual da semplice modo di vestire diventò una vera e propria sottocultura, dominata da due elementi principali: il vestirsi in stile e l'azione allo stadio (chiaramente, affondando le proprie radici rispettivamente nelle culture mod e skinhead, elemento caratteristico era anche l'interesse verso la musica, ed i suoni prediletti consistono nel punk e mod revival,  con l'aggiungersi successivamente della new wave, dell'indie rock e del britpop. Proprio riguardo l'abbigliamento una caratteristica dei casual ereditata fu quella di cambiare sempre marche di abbigliamento, pur rimanendo chiaramente all'interno dello stile: nel corso degli anni sono stati adottati decine di nuovi brands, come ad esempio Ben Sherman, Henry Lloyd, OneTrueSaxon, Paul&Shark, Lile and Scott, Berghaus, Gabicci, Ralph Lauren, Henry Cotton, Fjall Raven, The Coolness Society, Peaceful Hooligan, Merc Clothing,  e tante altre, (raramente per questioni politiche alcuni Casuals cominciano a vestire qualche capo della Marlboro classic a causa del simbolismo inerente al pacchetto delle sigarette, alcuni video ormai virali, girano sul web e spiegano il nesso che c'è tra questa marca e alcuni gruppi pseudo politici), anche se nell'immaginario collettivo la sottocultura casual rimane legata all'alloro della Fred Perry al "quadrettato" della Burberry e dell'Aquascutum così come ai capi della Stone Island o della Barbour.

Altra scelta d'abbigliamento propria della sottocultura Casual, tra la seconda metà degli anni '80 e la prima degli anni '90, sono le scarpe assolutamente bianche (Adidas, Stan Smith, Diadora Ed Moses e Borg Elite e poche altre) col tempo se ne sono aggiunte molte altre, modelli degli anni 80 usati e riprodotti dall'Adidas ancora oggi con grande successo: su tutti Trimm Trab, Forest Hills, Gazelle, Samba, le ZX 750 (raramente le 850), l'ormai famosa City Series e alcuni modelli della New Balance.

La seconda ondata casual iniziò nei primi anni '90 diffondendosi in tutta Europa, in nazioni come Francia, Paesi Bassi, Belgio e Germania. La terza ondata casual partì sul finire degli anni '90 e andò a prendere piede in quei paesi del sud Europa fino ad allora interessati solo dal fenomeno ultras (salvo rare eccezioni, come ad esempio la tifoseria del Chieti e dell'Hellas Verona): Italia, Spagna (come anticipato sopra), Serbia, Grecia e Croazia. Ad oggi in questi ultimi paesi si assiste a uno strano connubio tra le sottoculture ultras e casual: molti gruppi pur mantenendo gli striscioni, uno dei simboli del movimento ultras, adottano un look e un modo di agire propriamente casual, come evitare la scorta e usare i mezzi propri per recarsi in trasferta.

Una nuova pagina del "movimento casual", nasce dalla necessità di mutare per rendersi meno riconoscibili, si ispira al mondo dell'outdoor e dell'alpinismo, in generale adottando uno stile più sobrio: materiali come il velluto o il tweed abbinati a giacche tecniche (Berghaus, Patagonia, Mountain Equipment, FjallRaven, North Face) in una continua ricerca di tessuti e marche meno “mainstream” possibili (Engineered Garments, Norse Projects, Nanamica, Battenwear, Beams, Sassafras e molte altre spesso dal mercato asiatico, Giappone in primis) con scarpe più classiche a sostituire le trainers utilizzate negli anni 80, 90 e 2000 (Clarks, Mephisto, Jacoform, Timberland e scarponcini e boat shoes di diverso tipo). Questa nuova ondata è stata sicuramente influenzata e agevolata anche dal mondo dei social network.

Punto di riferimento fondamentale sono sicuramente i nuovi brand emergenti come Casual Connoisseur, il negozio inglese Oi Polloi, le fanzine e la rivista Proper Magazine.

Logo Merc London

Il movimento casual si diffuse nelle curve italiane a cavallo tra la fine degli anni '90 e gli inizi del nuovo millennio (a parte la già citata eccezione riguardante la tifoseria veronese che si può inquadrare nella seconda ondata casual). I principali centri di sviluppo furono Verona e le grandi città, Roma e Milano in testa, seguite da Torino, Firenze, Piacenza ed altre città con squadre che militano in serie minori in Lombardia, Triveneto e Sud Italia. Ultimamente il fenomeno casual è dilagato in tutta la realtà calcistica italiana, e gruppi d'ispirazione casual si possono trovare in tutta la penisola e nelle isole, anche se sono soprattutto presenti nella parte Nord del paese.

Bisogna specificare però una peculiarità del "movimento casual italiano", contraddistinto nella maggior parte dei casi da una sorta di mix tra il classico stile ultras italiano e quello casual d'oltremanica. Non è raro affatto trovare striscioni (o cosiddette "pezze") dietro il quale si trovano ragazzi vestiti appunto nel classico stile casual, creando quindi una sorta di punto di incontro tra le due sottoculture.

                Ottobre 2019: 1° raduno dei club italiani

Un momento storico

Tutti i club di lingua italiana al gran completo in occasione del primo, storico raduno blaugrana di Milano.

                     Football programmes: un oggetto di culto

Prigramma del Villa del 1912. www.google.com

Da sempre i programmi dei match di calcio sono considerati, a ragione, una prerogativa del football britannico: fu infatti il 1888, l'anno in cui, per la prima volta, i "football programmes" delle partite iniziarono a vedere la luce con una certa continuità e, da oggetti inizialmente di scarsa importanza, si convertirono presto in un must per tutti i collezionisti del mondo.

 

In Inghilterra in breve tempo i programmi divennero parte della "previa" (quindi, in un certo senso, del gioco) insieme alla torta e alla birra, tre momenti clou tipici di ogni pre-gara. In terra d'Albione l'Aston Villa, non a caso una delle squadre fondatrici del calcio d'oltre manica, fu uno dei primi club a far stampare un programma per i propri tifosi, usanza che  a partire dal 1888, divenne parte integrante di ogni club di calcio inglese anche se la finale di F.A. Cup (per alcuni la competizione più importante del mondo) ebbe un suo programma nel 1882.

Ben lontani dall'essere le "bibbie" di informazioni e notizie che sarebbero diventati in seguito, i programmi in origine erano costituiti da un singolo foglio riportante la data della partita, i nomi e le posizioni dei giocatori.

 

Dunque fu il Villa ad avere per primo l'idea dei programmi (va anche detto che fu l'Everton ad iniziare a pubblicare  con regolarità una scorecard per i suoi fans)  così come fu la prima società a trasformare il singolo foglio delle origini in un giornale contrassegnando ogni singola uscita con un numero e con un raccoglitore per ogni stagione: questo fu una sorta di invito ai tifosi affinchè iniziassero a collezionare i programmi.

 

Col passare degli anni i programmi arrivarono ad essere formati da 8 pagine in concomitanza con la prima guerra mondiale mentre con secondo conflitto continentale la produzione di programmi fu interrotta dalla quasi totalità dei club britannici in nome della austerità richiesta dalle drammatiche circostanze dell'epoca.

E il Barça?

Detto che nel calcio spagnolo i programmi non hanno mai preso piede come in Inghilterra, anche in Catalogna non mancano esemplari di football programmes a partire dal 1922 e, in forma più continuativa, dal 1948 in poi.

Nelle loro pagine c'erano le ultime notizie sulla attualità blaugrana dell'epoca e molti di questi sono consultabili presso il Centro di Documentazione del Footbol Club Barcelona:

 

Al seguente link

https://www.fcbarcelona.es/club/servicios/ficha/programas-de-partido

sono visibili le copertine di alcuni dei più rari ed importanti programmi del Barça e tra questi:

 

 

                                 Finale Coppa del Rey 2018

Le penyes italiane protagoniste

... non solo al Wanda Metropolitano ma anche a Roma così come in molte altre occasioni il movimento blaugrana italiano è in crescita

Sulla giornata trascorsa a Madrid va detto che almeno in centro città non c'è stato alcun problema con i Sevillastas al punto che le due tifoserie hanno passato la giornata mescolate fino al momento di recarsi alle due rispettive "fan-zone". Notevole lo sforzo organizzativo del Barça per realizzare la nostra "fan-zone" così come per il ritiro dei biglietti accuratamente preparato alla fiera madrilena "Ifema" (ritiro che, va detto, ha suscitato numerose polemiche).

Riguardo al tifo va detto che è stata una delle note positive della giornata principalmente grazie all'impegno della "grada d'animaciò" ma anche per l'apporto di ciascuno dei 23.000 culé presenti sulle gradinate del nuovo stadio dell'Atletico di Madrid. In campo il Barça ha giocato bene oltre ogni più rosea aspettativa annichilendo il Siviglia e  mettendo le mani sulla coppa già alla fine del primo tempo; da ultimo impossibile non parlare di Andrés Iniesta sia perchè questa è stata la sua ultima finale con la nostra samarreta, sia perchè quando è stato sostituito a fine gara tutto lo stadio gli ha attribuito una ovazione impressionante.

                                  Museo del Grande Torino

Dopo aver visitato la Basilica di Superga lo scorso aprile, come club abbiamo voluto recarci al museo del Grande Torino, non solo per rendere omaggio ai giocatori scomparsi a Superga, ma soprattutto per dar merito al lavoro dei volontari che da anni permettono alla Associazione Memoria Storica Granata (e quindi al museo) di sopravvivere.

Questa visita era stata pianificata da tempo insieme agli amici delle penyes di Roma e Genova, ma a poche ore si è rivelata ancora più bella e gratificante per i volontari granata vista la presenza di Antoni Guil, presidente della confederazione mondiale delle penyes blaugrana, e di Jordi Penas, presidente del museo del Barça al Camp Nou, che non ha mancato di osservare con occhio tecnico e interessato i cimeli esposti a Grugliasco.

21 e 22 novembre 2017

A pochi mesi dall'ultima volta, il Barça è tornato nella nostra  città e  abbiamo cercato di sfruttare nel migliore dei modi questa occasione con una serie di eventi ed incontri.

Il nipote di Joan Gamper socio onorario della nostra penya!

Da qualche giorno Xavier Gamper, nipote del fondatore del FC Barcelona, è socio onorario della nostra penya. Nella foto sottostante Xavier Gamper, a destra, appare con la nostra sciarpa ed in compagnia di Julio Salinas, giocatore del Dream Team blaugrana di inizio anni '90. Un grosso grazie ad Alessandro che ha reso possibile tutto questo!

 

Pubblichiamo qui di seguito due righe di saluto che il nostro socio onorario ha voluto indirizzare a tutti noi:

 

 

"Ciao a tutti,
É' un piacere inviare saluti a la Penya del Barça di Torino.
Il mio caro amico Alessandro mi ha spiegato tutto quello che state facendo per il Barça nella penya di Torino.
Congratulazioni e Força Barça!!"
Xavier Gamper, nipote del fodatore del Barça

 

                       Come diventare soci del F.C. Barcelona

Iscrizione ordinaria:

Familiari di soci (fino al secondo grado di parentela)

Le relazioni di parentela ammesse sono:

  • Tra padri e figli
  • Tra nonni e nipoti
  • Tra genitori di fatto e figli
  • Tra fratelli e cognati
  • Tra zii e nipoti
  • Tra cugini

 

Per accertare la parentela verrà richiesta la seguente documentazione:

  • Fotocopia carta identità o documento identificativo del socio
  • Fotocopia carta identità o documento identificativo del richiedente
  • Fotocopia che dimostri la parentela

 

Persone che sono già state socie del Club in precedenza, per un minimo di 2 anni consecutivi

La unico modo per diventare soci del Club è presentarsi di persona alla OAB (Oficina de Atenciò al Barcelonista).

 

Tre anni di iscrizione a una penya attestati dal carnet del penysta

I membri di una penya che abbiano superato i tre anni di anzianità possono diventare soci del FC Barcelona.

 

 

Il processo di iscrizione a socio del FC Barcelona è concluso solamente quando il Club abbia verificato che tutta la documentazione richiesta risponda ai requisiti richiesti.

Il pagamento della quota è effettuabile in contanti o con carta di credito ed è valida fino al 31 dicembre 2017.

 

Ogni nuovo socio del FC Barcelona riceverà:

  • Carnet socio con foto
  • Statuto del FC Barcelona
  • Lettera di benvenuto
  • Diploma personalizzato

 

Ulteriori informazioni sono disponibili presso il sito ufficiale all'indirizzo: https://www.fcbarcelona.es/socios/hacerse-socio/socio-adulto

 

E' anche possibile contattare direttamente l'OAB (l'Oficina de Atenciò al Barcelonista) all'email oab@fcbarcelona.cat

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